Da Gemma e Federico: Lettera all’Alta Felicità

Gemma e Federico sono due giovani No Tav torinesi che da alcune settimane sono in Siria del Nord-Est per sostenere la rivoluzione confederale. In questi giorni di festa e lotta No Tav hanno inviato una lettera al Festival Alta Felicità, che di seguito pubblichiamo:

La lotta è sicuramente dove si è, anzitutto, ma anche dove si va e si sceglie di andare.

Quindi salutiamo tutte le amiche e gli amici della valle di Susa, così come tutte le giovani e i giovani che da diverse parti d Europa e del mondo sono arrivati in Piemonte per portare avanti la lotta ecologista, che per sua stessa natura non conosce confini.

L’ecologismo, il rispetto per l’ambiente e la ricerca di una vita nuova, in sintonia con tutto ciò che è vivente, umano o meno, e con la terra stessa è ciò che ha sempre caratterizzato fin dall’inizio la lotta no TAV, così come è un pilastro della rivoluzione confederale.

La nostra lotta -dalla val di Susa al rojava- è la risposta all’attacco, sempre più nitido e brutale, della modernità capitalista accecata dalla smania di profitto e talmente miope da non vedere, o fare semplicemente finta di non vedere, che la distruzione stessa dell’ambiente implica necessariamente la distruzione della possibilità stessa del loro profitto, ma soprattutto delle nostre esistenze.

Vedono il muro e accelerano per aggravarne l’impatto.

Noi vogliamo andare nella direzione opposta.

Per questo dobbiamo coltivare la forza per dirigere il cambiamento, e il Rojava ce lo insegna da dieci anni.

Difendere il proprio territorio, averne cura, combattere le forze che lo vorrebbero soffocare o sventrare non significa agire in maniera egoista né voler conservare qualcosa cosi com’è, ma difendere le condizioni perché la vita libera, attiva e plurale possa darsi senza essere piegata alle logiche di quel profitto.

I territori e le società che conoscono il significato della lotta sono così: sanno accogliere e sanno vivere di scambi, di confronti e di energie.

Essi producono lotte che mettono al centro il soggetto oppresso per antonomasia, cioè noi donne, essi sono spazi che non si difendono dallo straniero, che non hanno paura della diversità perché sanno che la diversità è la loro e la nostra ricchezza, la possibilità di scoprire modalità sempre nuove di vivere, discutere, decidere e produrre insieme.

Quello che queste società hanno imparato a difendere è la vita nel suo valore più alto, la libertà come condizione necessaria dell’esistenza. Appartenere a esse non è qualcosa che sta nel sangue ma nel cuore. 

È nel cuore che ognuno di noi, ognuno di voi, può trovare il senso della lotta che unisce popoli, valli e montagne in un filo invisibile molto più di tunnel, linee di cemento e treno merci.

I valori per i quali il confederalismo sta lottando, il femminismo, l’ecologismo, il socialismo, una società democratica e aperta, una vita in comune creativa e piena di significato, sono valori che riguardano direttamente tutte e tutti noi, a prescindere dalla latitudine geografica o dalla lingua che parliamo perché questi valori sono universali ed è come universali che dobbiamo pensare le nostre lotte al di là dei confini fittizi che ci dividono.

L’internazionalismo infatti è una dimensione che rafforza e potenzia le lotte. Il legame della rivoluzione confederale con l’Italia è forte e vivo.

Tante italiane e tanti italiani sono andati in Rojava per contribuire alla rivoluzione. Ed è vergognoso vedere la distanza tra il disinteresse o l’adesione superficiale che chi sta al potere manifesta e quanto sono state disposte a mettere in gioco le proprie vite persone che nella nostra società sono considerate
invisibili.

Alle dichiarazioni pompose di adesione e di simpatia per i valori confederali non sono seguite prese di posizione e di condanna netta per la vergogna di  cui la procura e il tribunale di Torino si sono ricoperti assegnando due anni di sorveglianza speciale all’ex combattente delle Ypj Eddi Marcucci, a cui esprimiamo tutta la nostra vicinanza.

Ma soprattutto vogliamo ricordare chi oggi non c’è piu.

Giovanni Asperti e Lorenzo Orsetti, sono tra i 15mila martiri caduti per la difesa delle conquiste della rivoluzione, combattendo per proteggere la società da forze politiche oscurantiste e nemiche della libertà.

È importante mantenere forte questo legame perché quello che succede in Rojava non è un fatto locale.

Lo abbiamo visto in questi giorni. I grandi eventi globali e le trattative tra superpotenze e potenze nazionali sulla guerra in Ucraina non hanno potuto ignorare questo esperimento rivoluzionario che fa tanta paura perché è un concreto esempio di democrazia e autonomia popolare e la sua esistenza è uno scandalo.

I problemi individuati dal paradigma confederale, la loro analisi e il metodo e l’organizzazione per superarli assumono una portata globale che va oltre il movimento di liberazione curdo e la Siria del Nord-Est.

In questi giorni è più che mai importante sostenere la rivoluzione confederale di fronte agli attacchi che fronteggia quotidianamente nel silenzio di media e governi.

Lo scorso 19 luglio la rivoluzione confederale ha compiuto dieci anni.

La rivoluzione è un processo, un metodo e il movimento qui è consapevole che ci sono ancora tante cose da fare, da migliorare, e problemi da risolvere.

Ma allo stesso tempo in questi dieci anni sono tanti i risultati raggiunti, nonostante questi attacchi -che sono davvero quotidiani, nonostante la Turchia stia occupando parte del Rojava come il cantone di Afrin da quattro anni e mezzo e il territorio tra Serekaniye e Gire Spi da tre anni e nonostante la violenza continua di gruppi jihadisti e islamisti ancora attivi, nonostante l’embargo e altre politiche di aggressione alle condizioni della vita civile come per esempio le ingenti restrizioni dei flussi d’acqua la Turchia impone alla Siria del Nord-Est.

Nonostante tutto ciò la rivoluzione nella Siria del nord est prosegue.

E prosegue la lotta in tutto il Kurdistan, anche nel bashur, Kurdistan iracheno, dove la complicità del suo governo, che intrattiene rapporti economici con la Turchia e non dice una parola di fronte alle incursioni che da anni la Turchia fa nel suo territorio per colpire sia la guerriglia del Pkk, sia esponenti della società civile vicini al movimento che vengono presi di mira con droni, così come villaggi di civili spopolati in maniera indiscriminata.

Colpendo il Pkk -con il proposito di annientarlo completamente- la Turchia mira ancora una volta a spezzare le radici del confederalismo democratico e del suo potenziale rivoluzionario, capace di ispirare i curdi e le altre minoranze della Turchia nella lotta contro il centralismo identitario turco.

Ma nonostante l’alto impiego di armi e mezzi tecnologicamente avanzati che sono reperiti soprattutto dalle industrie dei paesi della Nato, la Turchia non riesce a piegare l’esperienza confederalista né in Iraq né nella Siria del Nord-est.

Questa resistenza e questa lotta e tutti i valori che le ispirano potranno però essere ancora più forti se anche noi nelle nostre società faremo la nostra parte, costruiremo ponti e reti di solidarietà e di appoggio e ci coalizzeremo per fare fronte ai problemi comuni del nostro tempo così come le potenze sanno coalizzarsi quando si tratta di colpire l’autonomia e la libertà dei popoli.

È dovere di noi tutte e tutti rompere il silenzio su questi attacchi ed essere pronte e pronti al momento in cui l’invasione avverrà per contribuire con tutti i mezzi necessari a sostenere e a difendere la rivoluzione del Rojava e le sue conquiste sociali.

In questa serata di festa, di gioia e di lotta collettiva celebriamo allora questo legame.

Ricordiamoci per cosa lottiamo e contro cosa dobbiamo difendere i nostri territori e le nostre società.

Una serata come questa a Raqqa, capitale dell’Isis fino al 2017, non sarebbe stata possibile senza la rivoluzione confederale.

La musica era vietata, le donne non sarebbero state libere di attraversare questo spazio.

Ogni potere autoritario e oscurantista, ogni potere che vuole controllare e soffocare l’inesauribile forza e vivacità di tante persone che si raccolgono insieme per praticare momenti di libertà, ha paura di momenti come questo.

la gioia di essere insieme, di lottare, di condividere emozioni e passioni, di non essere più costrette e costretti a rassegnarsi alla solitudine o ai ritmi sfiancanti del profitto e delle merci, di vivere in armonia con l’ambiente e con i tempi lievi delle sue trasformazioni: questo è quello che unisce i territori che lottano e le persone che hanno scelto di lottare con essi, molto più che un treno ad alta velocità.

I curdi dicono “no Friends but the Mountains”, sta a noi, dalle nostri valli, dalle nostre montagne, dimostrare che qualche amico ce l’hanno. “Some Friends and the Mountains”.
Serkeftin ya serkeftin!
Adelante companeros!

29-30-31 luglio 2022

Venaus - Valle di Susa

Ora e sempre NOTAV!  2023. All Rights Are the People.